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Mi rivolgo a chi si avvale di un commercialista per la gestione della propria azienda.

Vi è mai capitato di entrare nel suo studio e sentirvi dire che quest’anno il vostro bilancio chiude in utile? E proprio mentre sentite questa frase pensate che invece a malapena siete riusciti a pagare le spese e che non vi è rimasto niente in tasca dopo un anno di lavoro? Alla fine ve ne andate pensando che è tutta colpa delle tasse! che ne pagate troppe e che ogni volta uscite più arrabbiati di prima perché non capite come mai. Questo vi genera stress e voglia di cambiare aria.

In realtà, vi dico subito che se voi capiste esattamente dove sta il problema evitereste almeno lo stress. Il punto di partenza sta nel parlare una lingua comune fra consulente e imprenditore. Servono documenti contabili precisi, chiari, semplici e coincisi nell’informazione.

Il bilancio è un documento “inquinato” dalle scelte amministrative che portano ad un risultato di esercizio diverso da quello realmente ottenuto.

La valutazione delle rimanenze, gli ammortamenti, i compensi degli amministratori, gli investimenti finanziati tramite leasing anziché in proprietà sono esempio di questo inquinamento.

Normalmente avviene che per aziende in utile, la politica di bilancio tenda a ridurre i ricavi e aumentare i costi. Mentre per le aziende in perdita, avviene il contrario, per evitare di evidenziare ai terzi, principalmente le banche, la perdita di esercizio.

La prima cosa da fare per rendere il bilancio un documento trasparente, è riclassificarlo secondo l’ordine che meglio mette in evidenza le grandezze che si vogliono portare a conoscenza.

Studiare la situazione economica dell’azienda significa accertare un equilibrio fra ricavi e costi. Cioè i ricavi devono remunerare “adeguatamente” i fattori produttivi. Solo così l’azienda può dirsi in salute e in equilibrio.

I fattori produttivi sono fondamentalmente il capitale ed il lavoro. Il fattore lavoro si riferisce all’utilizzo di personale, mentre nel fattore capitale sono inclusi tutti i beni necessari al processo produttivo ad eccezione del lavoro.

Remunerazione adeguata significa invece in linea con i valori di mercato. Dunque, ad esempio:

  • il compenso del socio amministratore dovrà essere in linea con quello mediamente percepito da un amministratore.
  • Le rimanenze, se sottovalutate, occultano reddito.
  • L’ammortamento deve rispecchiare il normale deperimento del bene altrimenti rende il risultato di esercizio inattendibile.. e cosi via.

Quindi partendo dal conto economico, prova a suddividere i costi e i ricavi in esso contenuti fra le aree di gestione aziendale:

  • area gestione caratteristica o operativa

  • area gestione finanziaria

  • area gestione straordinaria

  • area gestione tributaria

L’attività caratteristica è rappresentata dai fatti aziendali correlati all’attività tipica; quindi supponendo che l’azienda oggetto di studio sia uno studio fotografico, l’attività caratteristica è rappresentata dai ricavi e dai costi conseguenti la vendita e la produzione di servizi o album fotografici. L’esame della redditività della gestione caratteristica è di fondamentale importanza per sapere se l’azienda è o non è in salute. Forse avrai sentito parlare di reddito operativo. È la grandezza di riferimento per comparare performance di aziende dello stesso settore. Normalmente la studiano in banca per sapere se sei finanziabile.

Nella gestione finanziaria, invece, rientrano quei costi e ricavi tipo gli interessi per dilazioni di pagamento, gli oneri bancari per fare bonifici o per rimborsare un prestito. I ricavi potrebbero essere ad esempio gli interessi che maturano su un conto deposito. Il saldo di questa gestione ci indica se c’è una generazione o un assorbimento di risorse e permette di verificare quanto ci costa finanziare il capitale immesso in azienda.

Nella gestione straordinaria sono raccolti quei costi e ricavi non allocati nelle precedenti aree gestionali (caratteristica e finanziaria) e tra questi ci sono plusvalenze e minusvalenze legate ad operazioni che non avvengono con regolarità e non rappresentano il core business dell’azienda. Ad esempio, una vendita di macchine fotografiche potrebbe far nascere un componente economico ma sicuramente è un’operazione saltuaria e occasionale per il fotografo del mio esempio (non lo sarebbe per un venditore di apparecchiature fotografiche..)

Infine, la gestione tributaria accoglie quei costi di bilancio relativi al rapporto con l’Erario. Imposte e tasse, accantonamenti e utilizzi del fondo imposte.

Una volta schematizzata l’azienda in queste aree gestionali e accertata la congruità dei costi e dei ricavi si può riclassificare il conto economico in vari modi:

A valore aggiunto: classificando i costi e ricavi per natura (ad esempio Luce = servizi, carta fotografica=acquisti materiali);

A costo del venduto: classificando i costi e i ricavi per destinazione , in base all’area aziendale che li genera (ad esempio: costo del personale suddiviso fra amministrativo, commerciale e produttivo);

A costi fissi e variabili: cioè fra costi che non aumentano all’aumentare della produzione e costi che aumentano proporzionalmente all’aumentare della produzione;

“Il vero limite alla riclassificazione degli schemi di bilancio è la necessità di disporre delle informazioni precise sulla natura e sulla destinazione dei costi e dei ricavi.”

Dunque è più che mai necessario uno scambio informativo fra imprenditore e consulente. A volte però l’imprenditore non è nemmeno in grado di fornire queste informazioni perché carente di un sistema di controllo di gestione, cioè di adeguate procedure interne che gli permettano di rilevare i dati e le informazioni utili a tale scopo.

Dunque, per concludere, se non hai un sistema di controllo di gestione, se non hai gli elementi cognitivi per fare una riclassificazione, inizia col suddividere in aree la tua azienda e inizia ad individuare quelle operazioni che rendono il tuo bilancio poco attendibile rispetto alla realtà delle cose. Avrai già le idee più chiare.